Territorio

Tra Marittime e Cozie

Dai circa 600 metri di Borgo San Dalmazzo ai quasi 2000 - 1996 per la precisione – del Colle della Maddalena (Col de Larche per i francesi) la Valle Stura di Demonte, con i suoi 60 chilometri di strada statale, si inserisce tra le Alpi Cozie Meridionali e le Alpi Marittime. Un ampio solco vallivo caratterizzato da un andamento prevalente est-ovest fino alla stretta di Pianche, che poi devia verso nord-ovest fino alla sua testata. Le valli Maira e Grana la fiancheggiano a nord, oltre il valico si apre la francese Valle dell’Ubayette, mentre la Valle Tinée e la Valle Gesso la costeggiano a sud.
Importanti valloni laterali caratterizzano la valle principale: il Vallone dell’Arma che, da Demonte, sulla sinistra idrografica, consente, nel periodo estivo, il collegamento stradale con le valli Maira e Grana attraverso il Colle di Valcavera (2416 m) e il Colle dei Morti (2480 m), il Vallone di Sant’Anna, che ha inizio da Pratolungo (Vinadio), sulla destra orografica, e permette di raggiungere, sempre nei mesi estivi, il Santuario di Sant’Anna di Vinadio (2010 m) e il Colle della Lombarda (2351 m), ingresso per la valle della Tinée e quindi della Costa Azzurra. Il vallone dei Bagni di Vinadio, che staccandosi all’altezza di Pianche, sulla destra Stura, presenta prima una interessante soglia glaciale poi un tratto incassato fra ripide pareti; nella parte alta si apre, invece, in un ampio pianoro che ospita la borgata di Bagni con il suo stabilimento termale. Importanti elevazioni montuose circondano la valle, in particolare, lungo la dorsale che separa la Valle Stura dalla Valle Tinée: il Ténibres (3031 m), il Corborant, (3010 m), il Becco Alto d’Ischiator (2996 m). Altre cime significative sono il Màlinvern oppure, sulla sinistra Stura, i meno “quotati” ma spettacolari e panoramici Bersaio e Chiavardine.
Geologicamente parlando, la Valle Stura, è per due terzi del suo versante destro orografico appartenente al massiccio cristallino dell’Argentera, formato da antichissime rocce eruttive e sedimentarie trasformate in rocce metamorfiche (gneiss, graniti) attraverso processi avvenuti in profondità, a temperature e pressione elevate, prima del loro ultimo sollevamento. Si contrappone sul fianco sinistro e alla testata della valle la presenza di rocce più recenti di origine sedimentaria, generatesi nell’antico mare mesozoico e traslate verso ovest da importanti movimenti orogenetici: l’imponente parete delle Barricate con le sue stratificazioni a reggipoggio sono un classico esempio di questo tipo di rocce.

L’azione dei ghiacciai sul paesaggio

Il grande ghiacciaio che nel quaternario ricopriva la valle e i ghiacciai minori che scendevano dai valloni laterali hanno modellato quello che oggi è il bacino montano del fiume Stura. La massa di ghiaccio che, fino a circa 12.000 anni fa, scendeva a lambire la pianura e raggiungeva un’altezza di alcune centinaia di metri, ha lasciato segni evidenti della sua azione, come la morena frontale nei pressi di Gaiola e le morene laterali di Bergemolo e Bergemoletto. I ghiacciai che occupavano i valloni laterali, dotati di una minore forza erosiva, creavano quelli che oggi sono interessanti esempi di valli sospese, quali il Vallone di Rio Freddo in destra Stura e il vallone di Rio Roburent sulla sinistra, e ci hanno lasciato anche le cosiddette rocce montonate, placche rocciose lisciate e a volte striate dai massi trasportati dal ghiacciaio, quali ad esempio quelle presenti nella zona dei Laghi Lausfer al Corborant. Nel corso dei millenni, al ritirarsi dei ghiacciai, il fiume Stura e i suoi affluenti hanno inciso in alcuni tratti profonde gole, come nella già citata zona della Barricate, dell’Olla, del Salto del Camoscio, dei valloni dei Bagni e di Sant’Anna, per citarne solo alcune; apporti alluvionali hanno poi creato fertili pianure come quella a valle di Demonte, più altre minori nei valloni laterali.

Il regno della varietà

Se da un punto di vista geomorfologico la valle presenta aspetti interessanti, non da meno sono la sua flora e la sua fauna. Pino silvestre frammisto a larice, quest’ultimo messo in loco negli anni cinquanta del secolo scorso con campagne di forestazione, nella parte medio-alta della valle ricoprono il versante sinistro, l’adrec in lingua locale (ad rectum solem, a solatìo) più in basso faggi e castagni regnano sovrani. L’abete bianco, il larice, il peccio – bellissima la pecceta di Callieri – e il pino cembro in quota sono i padroni incontrastati del versante destro dell’alta valle, l’ubac (opacum, sul lato in ombra), mentre ancora faggio e castagno ricompaiono dalla stretta di Pianche verso la pianura; non mancano comunque altre specie di latifoglie quali la roverella, i pioppi, vari tipi di salice. Abbassando gli occhi verso piante più piccole, ma non meno nobili, troviamo interessanti specie endemiche o rare quali la Sassifraga florulenta, la Saxifraga pedemontana e la Silene cordifolia per l’ambiente rupestre, la Berardia subacaulis – vero fossile vivente, relitto dell’era terziaria – per i macereti e i ghiaioni, la Fritillaria moggridgei, endemica, e il Senecio balbisianum, raro, nelle praterie d’alta quota e ancora l’Eryngium spinalba e il più noto Eryngium alpinum, ovvero la regina delle alpi. Tra gli arbusti possiamo ricordare il Prunus brigantiaca, o pruno del Delfinato, e lo Juniperus phoenicea, la cui stazione nel comune di Moiola rappresenta il limite nord-occidentale di diffusione della specie, tipicamente mediterranea. La grande varietà di vegetazione, e di conseguenza di ambienti, presuppone la presenza di una altrettanto grande varietà di animali; reintroduzioni, ritorni spontanei, una caccia attenta, hanno fatto sì che in valle, la fauna alpina, sia rappresentata in quasi tutte le sue forme, a cominciare dai grandi ungulati ruminanti quali il camoscio, che, seppur ridotto a pochi esemplari nel periodo postbellico, ora conta una popolazione stabile di parecchie centinaia di esemplari, e lo stambecco, arrivato anni fa per migrazione naturale dall’allora Parco dell’Argentera (ora Parco delle Alpi Marittime); il cervo, presente in epoca preistorica, è stato reintrodotto in tempi relativamente recenti e ora popola buona parte della valle. Introdotti sono il capriolo e il muflone: il primo immesso decenni fa nel Vallone di Neraissa e diffusosi in tutta la valle, il secondo arrivato dalla Valle Tinée dove era stato portato dalla Corsica negli anni Cinquanta del secolo scorso. Tra gli ungulati non ruminanti, il cinghiale scorrazza dal limite dei boschi in quota fino alle coltivazioni di fondovalle. Tra i bassi cespugli di ginepro e mirtillo possiamo trovare due rappresentanti della fauna artica, dotati dello stesso mimetismo invernale e arrivati all’epoca dei grandi ghiacciai: la pernice bianca e la lepre variabile o lepre bianca (Lepus timidus). Tanta abbondanza animale non poteva non attirare il più grande predatore delle Alpi Occidentali: il lupo. Tornato dopo molti decenni di assenza, è ora attestato, in forma stabile, nell’alta valle; animale schivo e sfuggente, la sua presenza è comunque ben documentata da tracce quali fatte, orme e resti di predazioni, che si possono trovare, soprattutto nel periodo invernale, lungo i percorsi delle escursioni. L’avifauna è ugualmente ricca e varia, sia quella stanziale che quella di passo. La valle è conosciuta nel mondo degli ornitologi per essere un frequentatissimo “corridoio” di transito per gli uccelli in migrazione verso sud. L’aquila reale così come la poiana o il biancone sono facilmente osservabili, il reintrodotto gipeto fa la sua comparsa saltuariamente dopo aver dimorato per anni tra le pareti delle Barricate. All’occhio del camminatore attento non sfuggiranno le fatte del gallo forcello, le borre dei gufi o delle civette; codirossi spazzacamini, fringuelli alpini, spioncelli tengono compagnia agli escursionisti alle quote più alte.